L’elemosina

Questa mattina unuomo e un violino hanno suonato per noi in metropolitana. Per ognivagone trenta secondi di musica, poi lo strumento sotto la giacca dipanno, l’archetto al fianco, il musicista cambiava pubblicosgattaiolando di tra le porte automatiche del treno. L’ho seguito, lascena era sempre la medesima: giacca, musica, violino, elemosine epoi di nuovo lo strumento al sicuro sotto il panno morbido.

Gli uomini d’ogginon fanno differenze tra elemosina ed elemosina, tutto quel che non èmerce è pietà, buona azione che ci verrà ricompensata un giorno,se saremo stati davvero giusti e Dio vorrà esistere. Ma nelfrattempo le monetine cadono nel bicchiere del violinista, perchésuona in modo eccellente e ha l’aria di un profugo scampato aldisastro non di un tagliagole, e la gente preferisce la sua facciapulita agli arti deformi di certi pezzenti che a volte si vedonochiedere la carità in giro per le strade.

Lungoil tragitto quotidiano delle prestazioni non c’è tempo perragionare. Si pensa al lavoro o allo studio, le mani corrono aisostegni di alluminio e ci si aggrappa, stilando mentalmenteclassifiche di quel che c’è da fare o verrà fatto, e in che ordinee modo. Ma poiché un’esigua minoranza dispone per pensare di maggioragio di quanto sarebbe strettamente necessario alla produzione eriproduzione, continuo a scrivere e mi domando che fine faranno isoldi che io pure ho lasciato cadere nelle mani del violinista.

Ècerto poco serio che un uomo campi chiedendo la carità, anche sesuona da Dio, e ha cura del suo strumento come meglio non sipotrebbe. Ma l’accesso a un lavoro oggi, anche il peggiore e il menopagato, è sottoposto a condizioni tali che non tutti gli essereumani possono soddisfare. Nel regno dell’abbondanza che è il nostroregno, è sufficiente un accento, un volto, a volte persino un mododi essere, per ritrovarsi perseguito da una qualche legge tra lemolte con le quali barattiamo la nostra e l’altrui dignità. Cosìsulle due facce della moneta che cade nel cappello dello storpio suigradini della chiesa, o del giocoliere di strada al mercato rionale,ci sono scritte, come due massime assolute, le frasi: “goditela”e “scappa”, due imperativi non a caso, perché con gli accattoninon ci si mette a ragionare.

Chinon è adatto alla bisogna meglio sarebbe non fosse mai nato, ma dopodi questo la cosa migliore per lui è che impari subito a suscitarepietà o spavento, le uniche due cose che garantiscono il diritto avivere fuori dalle regole sociali. L’elargizione del benefattore sadi sale non perché sia data di mala voglia, anche se questonaturalmente capita spesso, ma poiché conferma l’impossibilità avivere dignitosamente senza vendersi; bene lo sanno gli zingari,giustappunto, i rom:unico popolo che da secoli campa girando il mondo senza aver maiavuto un esercito.

Lostrumento che costringe alla miseria affinché ci si venda al migliorofferente, è lo stesso che provvede a tenere il più bassa possibilel’offerta, promettendo agli uni una vita d’inferno e minacciando aglialtri l’espulsione dal corpo della società civile. Dopo di che ci sisalva dalla vergogna e dall’umiliazione solo se il pezzo di legno dapoco prezzo e le quattro corde stese sotto l’archetto suonanoabbastanza bene da creare l’illusione di uno scambio alla pari:musica per soldi. Ma naturalmente si tratta sempre, finzione o no,del rapporto tra uno sconfitto e un esule.

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Appello contro una legge del nostro Stato

Donne,

amiche, compagne, toglietevi di torno.
Gli uomini colpevoli dell’odio e dello sfruttamento degli immigrati, lasciateli soli.
Individuate i nomi dei giornalisti, dei politici e degli imprenditori che aizzano, umiliano e rinchiudono i nostri fratelli e le nostre sorelle di altra lingua in orribili prigioni, e fategliela pagare; c’è più in comune tra voi ragazze e uno di quei volti scuri che non tra voi stesse e i maschi del potere.
Vi prego: attaccate. Se siete belle nascondetevi ai loro occhi, se madri negategli la madre, se figlie l’amore, anziane non raccontate loro più nulla.
Agli assassini coscienziosi e vili rifiutate la compagnia e la vostra intelligenza, proibite loro di leggere le vostre parole, non fatevi ascoltare, girate il volto dall’altra parte quando passano; anche se quelli sono, come tutti al mondo, vostri terribili figli.
Non perdonate a nessuno questa infamia per l’amore che avete grande, e noi cercheremo di non perdonare a noi stessi.
E abbiate pazienza di questo povero uomo che ancora una volta cerca di trasformarvi in armi.

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Identità e terrore

Metà sono furiosi perché Eluana Englaro era viva e si voleva ucciderla, l’altra metà perché era morta e non si voleva lasciarla in pace nemmeno nell’addio, opposti e inconciliabili giudizi sulla medesima esperienza. Eppure tra gli uomini e le donne spaventati dall’arbitrio sulla dignità dell’esistenza, e quelli terrorizzati che gli si imponga di continuare a vivere anche senza dignità né speranza, c’è qualcosa in comune.

Da tempo sappiamo che nei morti si piange la vita e che l’esorcismo più grande, che neppure le religioni del dio risorto furono mai in grado di ultimare, questa società lo sta portando a compimento. Ma c’è una dialettica che lega l’individuo alla società ancora più profonda.

Quanto meno sentiamo di poter controllare il nostro presente, il lavoro, le relazioni, lo sfruttamento del tempo, tanto più temiamo di perdere la libertà anche sulla nuda vita, come estremo caposaldo di una sfera che non dovrebbe mai essere toccata. Così il partito della sopravvivenza a ogni costo e quello dell’inalienabile diritto a scegliere quando e come andarsene all’altro mondo, si alimentano entrambi della stessa paura, che non riguarda Eluana Englaro, ma la miseria nella quale siamo tenuti dal delirio di potere si poche migliaia di vigliacchi e dei loro servi.

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Da sinistra a destra

Ascolto la radio e latelevisione, leggo i giornali. Giudizi molto duri nati dall’esperienza, nonsfoghi da poco prezzo: Bertinotti è vecchio e incerto, Ferrando nostalgicosenza senso, il sindacato traditore, Diliberto un uomo di partito, gliintellettuali voltagabbana. Non lo sapevate?

Ma più ancora mi interessa quelche seguo: Dunque IO sono disilluso, non MI aspetto più nulla, non LI voteròpiù. Perché IO non avrei fatto quell’alleanza, non MI interessa quel punto divista, MI sembra evidente che lo stato di cose presente qualcuno debba purgestirlo… et cetera, et cetera, et cetera…

Non so nulla di Bertinotti, nonconosco Ferrando e Diliberto lo vidi una sola volta, nel posto sbagliato, pererrore. Pure vorrei chiedere a Barenghi, mai ne vessi tempo e occasione, e atanti altri compagni come lui: eravate comunisti perché Berlinguer era onesto oper combattere lo sfruttamento? Andavate a cortei e manifestazioni per contarvitra di voi e decidere la linea o per difendere una democrazia popolare, il piùpopolare possibile? E adesso cambiare idea perché quei disastri non ci sono piùo per…

Così si passa da sinistra adestra, per distrazione e perché in fondo della lotta di classe alcuni,volentieri, possono fare a meno.

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Franz Kafka

Questo scritto è un piccolo manuale per la lettura di tre racconti di Franz Kafka, Indagini di un cane, La tana e Josephine la cantante, e de La metamorfosi. Sono pagine scritte pensando a chi sa poco, non presuppongono conoscenze letterarie o filosofiche, e non sono adatte a un concorso accademico; per leggerle basta procurarsi una copia dei racconti di Kafka e un po’ di tempo.

Come ogni saggio anche questo esprime per metà il personale punto di vista dell’autore, e solo per il rimanente quanto ci sarebbeda dire su Franz Kafka. Va dunque utilizzato come le istruzioni di un frigorifero: può servire leggerle ma non sono loro a far funzionare la macchina.

La divisione in capitoletti e le poche note a piè di pagina inserite servono solo a rendere più semplice e chiaro il contenuto. Se oscurità sono rimaste vanno scusate pensando ai limiti di chi scrive e al fatto che non tutto può essere reso elementare e semplice.

Kafka agli operai è libero: può essere letto, stampato, riprodotto e diffuso in qualunque modo o forma; vi chiedo solo di non alterare il testo e di evitare tagli, se possibile, e di lasciare il nome dell’autore in calce.

Potete scaricarlo andando nell’album di questo Blog. 

Chi volesse contattarmi, per qualunque motivo, può farlo all’indirizzo elettronico in calce.

Un grazie di cuore a tutti.

Ezio Partesana.

 

e.partesana@email.it

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Il sistema delle emergenze

    Se piove molto, in un mese nel quale ci si aspetterebbe sì e no qualche goccia d’acqua, è un’emergenza; i fiumi si ingrossano, gli argini non sono sicuri, e c’è fango da per tutto nei campi, anziché mele e pomodori. Anche il caldo d’estate e il freddo inverno possono essere un’emergenza, perché c’è sempre gente che sta male, e allora dipende dai parenti, dagli ospedali pubblici e dalla fortuna: che dia un posto caldo dove ripararsi ai miserabili. Persino certe epidemie possono essere un’emergenza, oppure quando un intero popolo decide di spostarsi, o una nazione di conquistarne un’altra e le dichiara guerra. Eventi straordinari possono accadere ed è bene allora che si prenda sul serio la novità inattesa e ci si attrezzi al meglio per affrontare la situazione. Però…
    Non molti anni fa si diceva che i grandi titoli dei giornali sulle “emergenze” servissero anche a distrarre dai veri problemi del paese, una versione aggiornata del pane e spettacoli da circo insomma. Ma sono così tante le pagine del diario delle emergenze di questi tempi, e di così gran varietà fanno sfoggio i proclami sul quel che emerge, che viene il sospetto di una Grande Distrazione Generale, di una quantità di attenzione distolta che si trasforma in una qualità di esperienza (come insegnò Hegel). Perché la domanda è questa: se ogni problema che si presenta è un’eccezione alla regola, che immagine abbiamo del nostro mondo?
    Leibniz fu preso in giro da Schöpenhauer perché scrisse che questo era il migliore dei mondi possibili (“Non è il migliore, è il peggiore, – gli rispose Schöpenhauer. – Basterebbe che fosse anche solo di un soffio più cattivo di così e non potrebbe più esistere.”), noi siamo più ridicoli: consideriamo l’universo capitalista addirittura perfetto, tanto che nulla di sbagliato possa accadere che non sia un’emergenza, e qualunque cosa non vada come noi vorremmo è solo un’inutile eccezione.
    Mentire serve, ma corrompere l’esperienza dei servi serve ancora di più.

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Intelletto e fascismo: istruzioni per l’uso

Se accendiamo la radio e la sintonizziamo su una frequenza qualsiasi, la musica che ne esce ci sembrerà normale. Orribile magari, oppure noiosa, appassionante, commovente persino, o commerciale, difficile, già sentita, intelligente, brutta… Poco importa. Nei suoni non avvertiamo nulla di sbagliato, la melodia è riconoscibile e gli accordi sono al loro posto. Le nostre orecchie (e il cervello che le controlla) percepiscono certi suoni come armoniosi, “naturali” nella musica, e altri al contrario come stridenti, sbagliati, innaturali. Il miracolo di questa armonia prestabilita tra la musica e le nostre percezioni si chiama tonalità.
Forse è una buona cosa, forse no. Di certo ha una sua lunga storia. Il Clavicembalo ben temperato, che tutti conoscono almeno di nome, ha un brano basato su ognuna delle tonalità delle quali Bach disponeva quando lo compose, in totale ventiquattro pezzi.
Non siamo tutti musicisti, ma antifascisti sì (o almeno dovremmo), per cui vale la pena di insistere ancora un poco. Le tonalità sono fatte, e si possono riconoscere, perché altro non sono che un gruppo di note, raccolte in base a certe norme, tra le quali il musicista può scegliere per comporre, ma non al di fuori, se non vuole che la sua musica strida alle nostre orecchie. È così possibile parlare di tonalità di Do maggiore, re minore, Mi bemolle maggiore, e via dicendo, una tonalità per ogni nota della scala. Tutte le tonalità sono però temperate (cioè costruite per bene) su un unico modello, che è quello del Do maggiore, i tasti bianchi di un pianoforte per intenderci.
Ora, se prendete un’idiota e gli chiedete di sedersi a un pianoforte e suonare una canzone pestando a caso solo sui tasti bianchi, ne verrà fuori una cosa disgustosa, o quanto meno senza senso ma, e questo è l’interessante, riconoscibile da ogni musicista come tonalità di Do maggiore.
Ecco, il fascismo è così: disgustoso e senza senso, ma gli intellettuali dovrebbero però essere in grado di riconoscerlo anche nella confusione e afferrare lo schema che lo sorregge, la sua tonalità dominante.
E scrivere altra musica, va da sé.

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Ahmadinejad

Nel diario di un comandante partigiano lessi, qualche tempo fa, le istruzini su come comportarsi con i nemici catturati. L’uomo aveva la responsabilità (mi sembra di ricordare) di diverse formazioni attive nel basso Piemonte e in Liguria, e verso la fine del ’43 (o l’inizio del ’44) si presentò il problema di che fare con i prigionieri.  Gli ordini diramati alla fine furono questi: disarmare e lasciar andare tutti gli uomini catturati, a meno che siano a conoscenza di qualcosa che possa mettere a repentaglio la sicurezza dei rifugi e dei depositi. In questo caso i prigionieri dovevano essere trattenuti per impedir loro di nuocere e guardati a vista. Solo nel caso di un attacco o di un rastrellamento che rendesse impossibile combattere o sganciarsi con il fardello degli eventuali prigionieri da sorvegliare, si autorizzava la fucilazione.

Il comandante partigiano chiedeva dunque ai gruppi di azione di accettare un ragionevole rischio (di fuga, spionaggio, etc.) per poter distinguere tra la colpa e il colpevole. Forse era un comandante credente (non lo so, non lo ricordo) che aveva imparato dal Vangelo, ma non chiedeva ai suoi uomini di essere gentili con i nemici, solo intelligenti nonostante la lotta e i pericoli. Se si fosse limitato a dire: "fucilateli tutti senza pietà", perché un fascista morto è un fascista che non ti sparerà più addosso e non potrà più torturare un tuo compagno nelle stanze della Questura, giù in città, avrebbe mentito tre volte. In primo luogo perché non si può mai "fucilarli tutti", il nemico è inestinguibile e la lotta contro il fascismo riguarda ognuno e costantemente. In secondo luogo perché avrebbe sostituito il diritto alla libertà con la fede nell’identità tra nemico e male, semplificando le ragioni per le quali quegli stessi uomini, ai quali ordinava di compiere le esecuzioni, avevano deciso di unirsi ai partigiani. Ma in terzo luogo, e più grave ancora, avrebbe mentito ai suoi compagni la verità per la quale montagne di capitani d’industria, latifondisti, speculatori, commercianti del legname e del grano, proprietari di miniere e direttori dei grandi Trust della chimica e dell’acciaio, sorridevano al Terzo Reich di Hitler, e avrebbero continuato a farlo anche dopo la fine della lotta di liberazione.

La disperazione è inutile. Umiliare il corpo e la mente dei tuoi compagni di lotta, stupido e colpevole. E piacevole solo per quelli che sorridono bene sotto ogni bandiera. 

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Desideri e bisogni

Se due uomini si scambiano qualcosa – scriveva Carlo Marx un secolo e mezzo fa – bisogna che queste due cose si rassomiglino abbastanza da poter essere valutate l’una rispetto all’altra (“La mia pecora vale il doppio delle tue scarpe, ma se mi dai una mano tutto domani e il giorno dopo anche a tosare l’intero gregge allora siamo pari”), e al contempo che siano abbastanza diverse perché abbia senso scambiarle (“D’accordo, faremo come dici tu. Mica posso fare il latte con le scarpe o mangiarmi gli agnellini di due giornate di lavoro!”). Così almeno pensando al lavoro, al commercio e al modo in cui ci si procurava di che vivere (e le comodità e i piaceri ai quali da sempre l’essere umano tende) ai suoi tempi. È un concetto interessante. Quando si firma un contratto di lavoro, il tempo e la fatica che il lavoratore mette a disposizione e i soldi che gli vengono dati in cambio sono commensurabili, due merci il cui valore dipende da quel che è necessario a produrle. Ma al contempo lavoro e salario sono anche diversi, abbastanza diversi perché l’uno compri salario vendendo lavoro e l’altro compri lavoro dando in cambio salario. Che cosa poi ognuno di quel che si è procurato in questo modo – scriveva sempre Carlo Marx – sono fatti suoi. E tuttavia questo scambio ha anche un valore simbolico (per dirla con una parola che solo quindici anni fa andava molto di moda nelle aule universitarie), cioè significa e comporta più che un reciproco vantaggio. Chi vende il suo tempo sotto forma di lavoro, lo fa perché costretto, ha bisogno dei soldi che gli vengono dati in cambio per soddisfare le sue necessità: un tetto, mangiare, vestirsi. Invece chi compra il suo lavoro desidera metterlo a frutto nella sua fabbrica, ufficio o agenzia di commercio, usa il tempo di lavoro acquistato e lo consuma per produrre ricchezza. Ridurre la schiavitù del bisogno e mettere a disposizione del maggior numero possibile di donne e uomini la facoltà del desiderio, sarebbe un buon programma politico. E muterebbe di segno – va quasi da sé – anche il valore della parola ‘bisogno’ e della parola ‘desiderio’.

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Amici e nemici

Le categorie del pensiero politico mutano secondo le forme della produzione e i rapporti di forza. Di alcune sparizioni però potremmo fare a meno. La dicotomia “amico” e “nemico”, per esempio, non gode oggigiorno di buona fama. In una società senza conflitti non ci sono amici né nemici, ma solo problemi oggettivi o immani tragedie. Ci si accapiglia bensì, tra avversari politici, su chi debba gestire le soluzioni, ma senza che questo comporti la divisione (anglosassone, altro che comunista!) tra chi è parte del problema e chi, di contro, è parte della soluzione. Di recente in un piccolo paese della Sardegna è stata posta una lapide a memoria dei repubblichini, dei soldati e dei partigiani, tutti morti per un mondo migliore. I telegiornali e i fascisti propongono qualche modello di nemico da eliminare invero: rumeni, immigrati senza permesso di soggiorno, militanti comunisti, pedofili, terroristi islamici, zingari… liste variabili e aggiornate a seconda di quel che può far piacere a chi paga le parole. Ma per il resto, il reato inemendabile è quello di chi ricerca e distingue gli sfruttatori dagli sfruttati. Pietà è morta, – anche le vecchie canzoni insegnano qualcosa. Sappiamo che bisogna odiare il peccato e non il peccatore, che può pentirsi. Sappiamo anche che se per incanto tutti gli sfruttatori sparissero dalla terra, lo sfruttamento proseguirebbe con altri volti e altri nomi. Ma tutto questo non dovrebbe dispensarci dalla fatica di dire adesso chi è contro la liberazione dell’umano, perché ne trarrebbe una diminuzione del suo potere, e chi è a favore. Non serve a colpire il nemico esterno, serve a educare quello interno. Non ricordo più chi mi raccontò, in una sera del gennaio del 1991, che in Spagna, quando oramai tutto era perduto e a giorni le truppe di Franco avrebbero controllato l’intera nazione e proceduto, come di dovere, a imprigionare e fucilare gli avversari, un minuscolo gruppetto di anarchici trovò chissà dove un furgoncino e qualche litro di benzina, per girare ogni piccolo villaggio. Sul tetto era montato un altoparlante e qualcuno dentro leggeva un elenco di traditori e fascisti ripetendo: ricordate questi nomi.

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