Identità e terrore

Metà sono furiosi perché Eluana Englaro era viva e si voleva ucciderla, l’altra metà perché era morta e non si voleva lasciarla in pace nemmeno nell’addio, opposti e inconciliabili giudizi sulla medesima esperienza. Eppure tra gli uomini e le donne spaventati dall’arbitrio sulla dignità dell’esistenza, e quelli terrorizzati che gli si imponga di continuare a vivere anche senza dignità né speranza, c’è qualcosa in comune.

Da tempo sappiamo che nei morti si piange la vita e che l’esorcismo più grande, che neppure le religioni del dio risorto furono mai in grado di ultimare, questa società lo sta portando a compimento. Ma c’è una dialettica che lega l’individuo alla società ancora più profonda.

Quanto meno sentiamo di poter controllare il nostro presente, il lavoro, le relazioni, lo sfruttamento del tempo, tanto più temiamo di perdere la libertà anche sulla nuda vita, come estremo caposaldo di una sfera che non dovrebbe mai essere toccata. Così il partito della sopravvivenza a ogni costo e quello dell’inalienabile diritto a scegliere quando e come andarsene all’altro mondo, si alimentano entrambi della stessa paura, che non riguarda Eluana Englaro, ma la miseria nella quale siamo tenuti dal delirio di potere si poche migliaia di vigliacchi e dei loro servi.

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