Nel nuovo capitalismo che avanza, tra imprenditori e lavoratori non c’è più differenza. Padrone e operaio lavorano fianco a fianco, con la medesima fatica e gli stessi bisogni. Sono due figure che si distinguono a mala pena, compagni di lavoro sino a un mese o un anno prima, e portano a casa a fine mese grosso modo uguale salario. Non c’è opposizione o contraddizione, e l’unica lotta è quella per sopravvivere al concorrenza nel mercato globale. Se va male all’uno è peggio anche per tutti gli altri. Può darsi. Quando diciamo “padrone” o “operaio” è solo per intenderci. Noi siamo contro il capitalismo perché riteniamo che se la proprietà dei mezzi di produzione è separata da chi ci ha a che fare con quei benedetti mezzi di produzione, il lavoro tenderà a essere più triste, meno pagato e più faticoso. “Padrone” è la distanza tra lavoro e possibilità di lavorare, e questa distanza si misura in proprietà della terra, delle macchine o delle azioni in borsa, ma anche in conoscenza e saper fare, accumulati in secoli di storia. Forse nell’ultimo capitalismo il piccolo padrone e l’operaio non si distinguono più. Ma poiché gli attuali curatori dei giornali, dei libri e delle televisioni, ne usano, di queste trasformazioni, per negare ci sia mai una lotta tra capitale e lavoro, vale la pena di ricordare noi che questa contraddizione poteva prescindere, già ai tempi di Marx, da un borghese in bombetta e bastone. Quando sia il padrone che l’operaio sono sottomessi ai mezzi di produzione significa semplicemente che il comando lo detiene qualcun altro, non che sia sparito. Ma tutto questo Alice non lo sa…
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