Apologia di marxismo 1

Nel nuovo capitalismo che avanza, tra imprenditori e lavoratori non c’è più differenza. Padrone e operaio lavorano fianco a fianco, con la medesima fatica e gli stessi bisogni. Sono due figure che si distinguono a mala pena, compagni di lavoro sino a un mese o un anno prima, e portano a casa a fine mese grosso modo uguale salario. Non c’è opposizione o contraddizione, e l’unica lotta è quella per sopravvivere al concorrenza nel mercato globale. Se va male all’uno è peggio anche per tutti gli altri. Può darsi. Quando diciamo “padrone” o “operaio” è solo per intenderci. Noi siamo contro il capitalismo perché riteniamo che se la proprietà dei mezzi di produzione è separata da chi ci ha a che fare con quei benedetti mezzi di produzione, il lavoro tenderà a essere più triste, meno pagato e più faticoso. “Padrone” è la distanza tra lavoro e possibilità di lavorare, e questa distanza si misura in proprietà della terra, delle macchine o delle azioni in borsa, ma anche in conoscenza e saper fare, accumulati in secoli di storia. Forse nell’ultimo capitalismo il piccolo padrone e l’operaio non si distinguono più. Ma poiché gli attuali curatori dei giornali, dei libri e delle televisioni, ne usano, di queste trasformazioni, per negare ci sia mai una lotta tra capitale e lavoro, vale la pena di ricordare noi che questa contraddizione poteva prescindere, già ai tempi di Marx, da un borghese in bombetta e bastone. Quando sia il padrone che l’operaio sono sottomessi ai mezzi di produzione significa semplicemente che il comando lo detiene qualcun altro, non che sia sparito. Ma tutto questo Alice non lo sa…

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Sulle ultime elezioni

Non è solo questione di buona educazione. Se il mio partito perde le elezioni, faccio autocritica, individuo gli errori e mi preparo a correggerli. E se invece la mia parte ottiene un buon risultato, mi convinco di essere stato nel giusto e rinforzo le possibilità delle mie scelte. Questa è la parte comune di tutti i discorsi che abbiamo ascoltato dopo le ultime elezioni; per un pezzo vera, ma per un altro pezzo (e molto più grande) falsa. Perché l’unica domanda che vinti e vincitori si pongono è: quanto sono riuscito a intercettare e rappresentare i sentimenti del popolo? Nella vita quotidiana sappiamo tutti molto bene quanto frequenti siano gli errori, le illusioni, i ragionamenti sbagliati e le forze che rendono difficile interpretare persino le proprie esperienze; solo durante le elezioni le persone diventerebbero infallibili: sentono quel che sentono e questa è l’unica oggettività e i partiti altro non devono fare che cercare di coglierla e rappresentarla (cioè "renderla presente"). Dalla politica italiana è stata stracciata l’ideologia. Che lo faccia chi gestisce il potere è normale. Da lungo tempo sappiamo che la paura, l’umiliazione e la confusione, assicurano il consenso meglio della propaganda nel Tardo Capitalismo. Ma che anche i compagni di Rifondazione e i Comunisti italiani ragionino in questo modo è sconfortante. "Non siamo stati capaci di ascoltare la gente, per questo hanno votato Lega". Perché? Se li avessimo ascoltati avremmo proposto noi il programma della Lega per avere una valanga di voti? Chi vuole cambiare il mondo non può prescindere dal riconoscimento che c’è qualcosa da studiare e svelare prima di convincersi e convincere che in questo modo non si può, o non si potrebbe ormai, più andare avanti. Quando Adolf Hitler fu nominato Cancelliere, il suo partito aveva ottenuto la maggioranza dei voti in una regolare e democratica competizione elettorale. Ma naturalmente non sta bene dire ha qualcuno: hai sbagliato. Si rischia di perdere altri voti…

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Antropologia

Entrando in una stanza dove non conosci nessuno, statisticamente, su dieci uomini tre saranno brave persone, che vivono in un mondo un po’ troppo crudele per il loro giudizio e che cercano di aggiustare i marciapiedi sconnessi e i tetti che spiovono. Un altro, con probabilità, sarà invece un ometto bello, grigiastro e rancoroso, statisticamente un poliziotto, pronto a difendere i valori che, gli hanno detto, sono l’unica cosa che lo distinguono dal cane da guardia del vicino. I tre successivi avranno i cani. La Fortuna ha reso loro inutile metà dei sentimenti e quotano il rimanente a prezzi da strozzino. E naturalmente, statisticamente, ci sono anche i cani, due per ogni tre padroni, perché costano anche loro. L’ultimo sarà una persona confusa, nobile anche magari, ma così impotente da portar sempre addosso un enorme vocabolario. Un uomo, o un ragazza, di quelli che sugli scaffali di una biblioteca i volumi ce li mette, anziché toglierli, per intenderci. Statisticamente. Perché in realtà le probabilità di trovare l’uomo confuso, o la ragazza, sono minime. A far dieci, se entrassi in una stanza qualsiasi con persone sconosciute, saresti tu.

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Poveri e ricchi

È necessario produrre ricchezza prima che la si possa ridistribuire, dicono. Si vuole che le imprese e gli imprenditori aumentino il capitale, traduco io, prima di farne trapassare un pochino nel salario, semmai. Si sente dovunque questa deduzione, che ha il sapore dell’ovvio e il retrogusto dello schiocco di frusta. E non ha importanza chi la stia dicendo. Forse è persino vera, purché ci si intenda sulle parole, senza far politica col nero di seppia. Una impresa produce tanta più ricchezza quanto più lavoro riesce a mettere all’opera. L’ideale, se il fine fosse solo quello di produrre valore, sarebbe un salario ai minimi della sopravvivenza e un orario massimo. Allora sì che le imprese avrebbero un sacco di ricchezza, che si potrebbe poi con gentilezza "ridistribuire" – a chi l’ha creata naturalmente. Ma c’è la concorrenza con la quale le imprese devono fare i conti tutti i giorni! Ah già, cazzo, m’ero dimenticato della concorrenza…

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Al bazàr

Quando le associazioni degli imprenditori parlano contro la rigidità del mercato del lavoro, mi sento meglio. Ci sono delle leggi a difesa del più debole verso il più forte, ne vorrebbero meno o alcuna. Ci sono norme che limitano lo sfruttamento o i rischi ai quali uomini e donne possono essere sottoposti per generare profitto, e preferirebbero farne a meno. Qualche diritto limato in più, qualche unità faticosa in meno, e il mercato del lavoro avrebbe esattamente l’aspetto che tutti coloro che ci vanno a comprare manodopera sognano: un disordinato bazàr dove le merci giacciono tutte accatastate l’una sull’altra, i mercanti sfoggiano astuzie e sotterfugi e gli sgherri del re non osano nemmeno entrare. La confusione è l’arma dei capitalisti. È quando parlano di far ordine che mi preoccupo.

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Stupido e incolpevole

Domenica pomeriggio a Milano. Una donna dell’alta società, sicuramente ricca e probabilmente bella, non ha il tempo per portare a spasso il suo cane. Così, per una via del centro vedo una signorina, forse originaria delle Filippine, che tiene al guinzaglio un magnifico alano nero. La bestia, che non sa nulla di politica, annusa un po’ l’aria, sbava con espressione sciocca tra le mani della ragazza, e finalmente fa i suoi bisogni sul bordo screpolato del marciapiede. La legge prescrive che gli escrementi degli animali da compagnia, in sostanza dei cani, vengano rimossi a cura del proprietario. Ma la ricca donna milanese è a casa o in giro a far altro, e così tocca alla giovane immigrata rovesciare un sacchetto di plastica, infilarlo su un mano e inginocchiarsi per raccogliere da terra le feci. Chi non prova disgusto è come l’incolpevole e stupido alano: non sa nulla di politica.

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Falci e martelli

Periodicamente giornali e partiti di sinistra si interrogano sulla opportunità di mantenere falci e martelli, parole comuniste e quanto altro possa farli riconoscere. Immediatamente si accumulano interventi pro e contro, analisi e sentimenti. Non un bello spettacolo. So cosa avrebbe detto Franco Fortini: il problema non sono le ragione per le quali mantenere i simboli della lotta dei lavoratori, il guaio sono i motivi che spingerebbero a liberarsene.

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