Il sistema delle emergenze

    Se piove molto, in un mese nel quale ci si aspetterebbe sì e no qualche goccia d’acqua, è un’emergenza; i fiumi si ingrossano, gli argini non sono sicuri, e c’è fango da per tutto nei campi, anziché mele e pomodori. Anche il caldo d’estate e il freddo inverno possono essere un’emergenza, perché c’è sempre gente che sta male, e allora dipende dai parenti, dagli ospedali pubblici e dalla fortuna: che dia un posto caldo dove ripararsi ai miserabili. Persino certe epidemie possono essere un’emergenza, oppure quando un intero popolo decide di spostarsi, o una nazione di conquistarne un’altra e le dichiara guerra. Eventi straordinari possono accadere ed è bene allora che si prenda sul serio la novità inattesa e ci si attrezzi al meglio per affrontare la situazione. Però…
    Non molti anni fa si diceva che i grandi titoli dei giornali sulle “emergenze” servissero anche a distrarre dai veri problemi del paese, una versione aggiornata del pane e spettacoli da circo insomma. Ma sono così tante le pagine del diario delle emergenze di questi tempi, e di così gran varietà fanno sfoggio i proclami sul quel che emerge, che viene il sospetto di una Grande Distrazione Generale, di una quantità di attenzione distolta che si trasforma in una qualità di esperienza (come insegnò Hegel). Perché la domanda è questa: se ogni problema che si presenta è un’eccezione alla regola, che immagine abbiamo del nostro mondo?
    Leibniz fu preso in giro da Schöpenhauer perché scrisse che questo era il migliore dei mondi possibili (“Non è il migliore, è il peggiore, – gli rispose Schöpenhauer. – Basterebbe che fosse anche solo di un soffio più cattivo di così e non potrebbe più esistere.”), noi siamo più ridicoli: consideriamo l’universo capitalista addirittura perfetto, tanto che nulla di sbagliato possa accadere che non sia un’emergenza, e qualunque cosa non vada come noi vorremmo è solo un’inutile eccezione.
    Mentire serve, ma corrompere l’esperienza dei servi serve ancora di più.

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